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"Noi non ci realizziamo mai. Siamo due abissi: un pozzo che fissa il cielo"

25 maggio 2009

L’uomo che voleva essere felice – Laurent Gounelle

Tante perle di saggezza disseminate in un affascinante scenario perfuso dalla sensibilità orientale: le pagine di questo piccolo libretto dalla copertina di stoffa floreale mi hanno inebriato fino all’ultima parola. La comune vacanza di un professore nell’isola indonesiana di Bali si trasforma in un viaggio alla ricerca del tassello mancante per raggiungere la felicità interiore. Un uomo dedito al proprio lavoro di insegnante, ma nel contempo insicuro, incosciente di molte delle decisioni che ha preso nella propria vita, insomma un uomo semplice, come tanti di noi potrebbero essere. L’incontro con il vecchio saggio Samtyang, un po’ come Buddha con Siddartha, lo conduce verso la strada alla conoscenza di sé. “Il suo problema non è nel corpo ma nella testa”, “Se siamo convinti di una cosa, questa diventa realtà, la nostra realtà”: parole che il maestro continua a ripetere al suo allievo, corredando ogni singola frase di un valido esempio, finché egli non ne apprezzerà fino in fondo la vera essenza. “Gli esseri umani sono molto attaccati a tutto ciò in cui credono. Non cercano la verità, vogliono solo una certa forma di equilibrio, e riescono a costruirsi un mondo più o meno coerente sulla base delle loro convinzioni. Ciò li rassicura, e inconsciamente vi si aggrappano.”, “Ciò che lei crederà del mondo la condurrà a dare un senso specifico a tutto ciò che per sua natura è ambiguo e incerto...e questo rafforzerà le sue convinzioni. Ancora una volta.”: una sorta di cartesiano mondo come sogno, un’immagine della vita come proiezione delle nostre menti. E tutto ciò si risolve in breve in una sorta di ottimismo del volere è potere, della necessità di compiere qualsiasi scelta a cuore aperto, senza lasciarsi influenzare da fuorvianti fattori esterni. Noi, come artefici del nostro destino, costruiamo una vita a immagine e somiglianza dei nostri pensieri. In definitiva su qualunque cosa ci soffermiamo a pensare, anche inconsciamente, questa diventerà realtà, che siano debiti o vincite, delusioni o gioie. L’immagine di Samtyang è quella tipica del saggio orientale cosparso di quell’aura di serenità che ammalia: un viso imperturbabile di “qualcuno che si accontenta di essere” e che offre la via per raggiungere il suo stato a chiunque abbia la costanza di perseguirla. E come una favola, il professore si lascia trasportare dal mistero dell’isola e affronta varie prove, azioni che nascondono un significato sottile e recondito che pian piano riuscirà con pazienza sempre più ad afferare. Ma l’esito del cammino verso la felicità non è così scontato come sembra...come si può intuire tutto si risolve infine in noi e solo in noi. Un libro guida, da leggere e rileggere, uno spunto per mille riflessioni, un modo per capire che la felicità è per tutti a portata di mano, basta imboccare la propria strada per raggiungerla... “Noi siamo ciò che pensiamo. Costruiamo il nostro mondo, con i nostri pensieri.” BUDDHA

24 maggio 2009

Stimoliamo questi neuroni!

Siamo sempre stati abituati a pensare ai neuroni come a cellule statiche, incapaci di riprodursi, o almeno è quello che ci insegnano alle scuole medie e alle superiori...ci presentano sempre i neuroni come individui atipici, un po’ particolari, ce li propongono come esempi di cellule perenni, incapaci di proliferare. E quindi cresciamo con l’idea che il numero di neuroni che abbiamo è quello destinato a rimanere fino alla morte! Invece non è proprio così... Una scoperta, circa 10 anni fa, scosse il mondo scientifico: ogni giorno nel cervello nascono migliaia di cellule nervose. Invece prima si sosteneva che la neurogenesi fosse propria solo dell’individuo giovane in crescita e che essa si perdesse progressivamente invecchiando. La regione sede di queste nuove nascite è l’ippocampo, la scatola della memoria e dell’apprendimento. La produzione di tali neuroni non segue un andamento regolare, anzi è strettamente influenzata da fattori ambientali: ad esempio è ben noto che il consumo di alcolici e la nicotina ritardino la generazione di queste cellule neonate. Il problema principale è che tali neuroni sono destinati alla morte nell’arco di un paio di settimane se non sono sottoposti ad adeguati stimoli. E qui entra in gioco l’importanza di quegli esercizi per la mente, di quel fitness cerebrale che a volte sembra avere effetti così vicini a quello che serve per mantenere in forma il nostro corpo. E come poter conservare queste cellule così piene di potenziale, anticipando i tempi del normale corso naturale? Semplicemente ragionando, pensando, fantasticando, studiando, impegnandosi in quel processo di apprendimento che a volte ci risulta così faticoso. Dice la neurobiologa Tracey J. Shorts in un articolo pubblicato su “Le Scienze” di questo mese: “noi pensiamo che i compiti che salvano il maggior numero di neuroni siano quelli più complessi da imparare, la cui padronanza richiede il massimo sforzo mentale”. E c’è di più. Per mantenere in vita tali neuroni l’apprendimento deve verificarsi entro una ristretta finestra temporale: tra i 7 e i 14 giorni dopo la nascita delle cellule. Pensate che il tutto ha origine come al solito da una di quelle cellule divine, in grado di fare di tutto di più: una cellula staminale si differenzia in nuovo neurone immaturo sotto stimoli del microambiente in cui è ospitata. Quest’ultimo diventa attivo solo se inserito in una rete di apprendimento. E qui ritorna la magia della rete: Cos’è una cellula senza le altre cellule? Cos’è un neurone se non stabilisce sinapsi con altri neuroni? Dobbiamo quindi cercare di ingabbiarlo nella rete per poi servircene, per afferrare qualche elemento in più e così mantenere il nostro cervello intellettualmente flessibile. Questi dati per ora sono stati testati solo su roditori, ma si crede che con molta probabilità si verifichino gli stessi meccanismi anche nell’uomo. E queste scoperte porterebbero nuovi indizi, nuove tracce per procedere nell’indagine di malattie come L’Alzheimer. “Un detto inglese afferma “you can’t teach an old dog new tricks” e non c’è dubbio che molti di noi, divenuti adulti, fatichino a imparare qualcosa di nuovo. Tuttavia, se vogliamo mantenere in forma il nostro cervello, probabilmente non nuocerebbe studiare una nuova lingua, prendere lezioni di ballo o magari dedicarsi ad un videogioco di destrezza dopo aver fatto esercizi di ginnastica. E potrebbe persino essere di aiuto”.

16 maggio 2009

Giverny....il gioiello di Claude Monet

Ero molto piccola quando lo visitai....ma ogni volta che vedo dei fiori, un po’ come l’effetto delle Madeleine in Proust, riappare alla mia mente l’immagine di quel tripudio della natura amata dall’uomo che rappresenta il giardino della villa di Giverny. Claude Monet vi passò quasi metà della sua vita, fu la sua specie di giardino segreto, un tempio della natura che riuscì a costruire in un angolo ai confini di quella terra da sogno che è la Normandia. Una casa dagli intonaci rosa e dalle persiane verdi immersa in un rigoglioso giardino alla francese dove i colori, che si mescolano senza definizione, sono stati fatalmente catturati da quei magici pennelli. Niente di propriamente intellettuale aveva in mente il pittore, solo intrappolare impressioni. Mi ha sempre molto affascianato questo aspetto della pittura impressionista en-plain-air: niente elaborazione intellettiva, solo l’occhio che vede, il cuore che ascolta. Accanto al giardino francese Monet ne costruì un altro acquatico, stile giapponese, con uno stagno, circondato da felci, salici che piangono sull’acqua (che da piccola mi piacevano un sacco perchè pensavo potessero parlare come quello di Pocahontas:-) ), rododendri, azalee, bamboo, e punteggiato da diverse specie di ninfee. E quel ponte verde di legno coperto di glicini, in realtà copiato da una stampa giapponese...il baluginare dell’acqua riflessa da nuvole vaganti nel cielo. Un occhio che si perde nell’infinità di un’immagine. Monet sembra proprio voler mettere a confronto la perfezione della natura con la mera imitazione dell’arte. In queste settimane è stata dedicata una mostra proprio a quel ”tempo delle ninfee”, in cui Monet si dedicò a ritrarre l’affascinante bellezza di questi schivi fiori acquatici. Una mostra allestita nelle sale nobili di Palazzo Reale a Milano, grazie ai quadri concessi dal Museo Marmottan di Parigi. Questo, come l’Orangerie, sono quei musei che solitamente si trascurano nei “viaggi alla mordi e fuggi”....invece, se si ha l’occasione di recarsi a Parigi, sono entrambi, a mio avviso, dei piccoli imperdibili gioielli dell’arte: i quadri esposti ti catturano per ore, ti immergono nella vera atmosfera parigina di fine ‘800. Tele grandi quanto le pareti di una stanza...sembra di sentire il suono dell’acqua dove galleggiano le ninfee, si è pervasi da quella sensazione di pace che dà il contatto con la natura. Il tempo si ferma per un attimo, come racchiuso nell’infinitesima durata di un’impressione istantanea, che toglie il senso di qualsiasi contatto con la realtà. Esiste poi in fondo questo profondo abisso tra l’occhio e la tela?

15 maggio 2009

Riflessioni (random) sulle sproporzioni dell’uomo...

Rileggevo una di queste sere un pensiero di Pascal su cui un tempo, quando ancora non ero sommersa dalle infinite pagine di istologia, mi ero a fermata a riflettere. Una di quelle strabilianti intuizioni di un uomo del seicento molto attento a tutte quelle “ragioni del cuore che la ragione non conosce”. Il pensiero si intitola “Sproporzioni dell’uomo”. L’uomo di fronte alla natura è come una nullità catapultata tra due estremi, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, una duplicità da cui è difficile sfuggire. “Tutto questo mondo visibile non è che un segmento impercettibile nell’ampio seno della natura. Nessuna idea vi s’avvicina. Possiamo sforzarci di dilatare le nostre concezioni al di là degli spazi immaginabili, ma non partoriremo che atomi, a prezzo della realtà delle cose. È una sfera infinita il cui centro è ovunque, la circonferenza in nessun luogo. Infine, il più grande segno sensibile della onnipotenza divina è il fatto che la nostra immaginazione si perda in questo pensiero”. Da quando ho iniziato a maneggiare seriamente quasi solo libri che descrivono la vita nell’infinitamente piccolo, dapprima ho provato un vero senso di straniamento e mi sono realmente resa conto degli immensi limiti del nostro corpo. L’ostacolo è la costante della nostra esistenza. Scoprire che tutto quello spazio che durante la nostra vita quotidiana trascuriamo è incommensurabile, immenso mi sconvolge costantemente...a volte mi fa quasi paura, mi sconcerta sapere che esiste qualcosa di impercepibile che funziona alla perfezione. Basta pensare alla complessità del mondo cellulare, o nel grande all’infinito numero di stelle nelle galassie. “Che cos’è l’uomo nella natura? Un nulla in confronto con l’infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo fra il nulla e il tutto. Infinitamente lontano dal comprendere questi estremi, la fine delle cose e il loro principio sono per lui invincibilmente celati in un segreto impenetrabile; egualmente incapace di vedere il nulla da cui è tratto, e l’infinito da cui viene inghiottito.” Pur essendo ormai cosciente dell’impossibilità di trovare una posizione tra questi due infiniti, spesso di fronte a una volta celeste punteggiata di stelle mi sembra di riuscire ad abbracciarla, a comprenderla, a percepirla. E ci sono momenti in cui azzardo lo stupido tentativo di intrappolare una luna piena in qualche verso di una poesia. Forse è solo un’illusione, la forza di quell’immaginazione su cui tanto hanno fantasticato i romantici, la quale ha un grande bisogno di essere stimolata dall’ostacolo per diffondersi senza confini. Per Pascal l’immaginazione si smarrisce davanti al fatto che nulla nell’Universo è proporzionato all’uomo. E questa sua sensazione sfocia quasi nell’angoscia, come per molti altri filosofi (basta semplicemente pensare a Kirkegaard e alla sequela degli esistenzialisti!). Direi che lo smarrimento è necessario per riportarci con i piedi per terra, per frenare il nostro costante desiderio di ormeggiare nel mare dell’incertezza. Ma purtroppo non credo che l’uomo possa mai sperare in una sosta. E’ nell’incostante fluttuare delle onde il mistero del mare.

12 maggio 2009

Come sarebbe bello.....avere il tasto del Rewind!

Se la vita è così povera di certezze, se non non esistono dogmi a cui possiamo far riferimento, allora perchè non potrebbe essere possibile un mondo in cui la vita scorre all’indietro? Molti scrittori lo hanno ipotizzato, quasi ognuno di noi almeno una volta nella vita avrà sognato di premere quel fatidico tasto per cancellare ogni cosa e rifare tutto da capo. E sembrerà impossibile ma la scienza ha più di una prova riguardo alla possibile esistenza di questo mondo alla “Benjamin Button”. Se si invertisse il senso di marcia del tempo probabilmente non ce ne accorgeremmo, dal momento che esso non influenza le leggi della fisica. Tuttavia la simmetria tra passato e futuro nelle leggi della fisica non è perfetta, cioè tornando indietro nel tempo non rivivremmo ciò che avremmo già vissuto nello stesso identico modo. Tutto ciò è stato sperimentato solo su mesoni (il mesone è una particella non-elementare composta da un quark e da un antiquark avente carica opposta) in laboratorio (con l’esperimento BaBar che ha permesso di invertire il flusso del tempo per queste particelle). Queste prove di fatto non risultano essere molto attendibili: cosa sono infatti degli effimeri mesoni in confronto alla complessità della nostra esistenza? Una prova più convincente riguarda l’orgine dell’Universo. Chi non conosce la storiella della nascita dell’Universo dal mitico Big Bang? Ecco ora sembra caduta anche questa favola! Il Big Bang non è affatto l’inzio degli inizi, esso è stato solo il nostro primo vero orologio! Perché prima del nostro Universo ne esisteva un altro, il quale invece che espandersi, come fa il nostro, si contraeva. Quindi l’Entropia non è sempre aumentata, c’è stato un tempo in cui è diminuita progressivamente. Il fatto sconvolgente è che anche in natura esiste una specie che tanto si avvicina alla mitica Araba Fenice, l’uccello che rinasce dalle ceneri. E’ il polipo Turritopsis dohrnii che nella fase adulta si trasforma per gemmazione in medusa, la quale si riproduce sessualmente generando a sua volta tanti polipini. Sembrerà strano ma questa medusa è una specie di X-Man che non muore mai! Quando si trova in pericolo, si raggrinzisce, si deposita sul fondale marino e le sue cellule si riorganizzano per dare di nuovo origine a un polipo. Avreste mai pensato di invidiare quelle masse di gel che a volte sono anche così noiose? Ebbene sì, loro sono in grado di ritornare a uno stadio precedente della loro esistenza e noi ancora no! Ma chissà i regali della Scienza sono così spettacolari e imprevedibili che non si può mai sapere!

(M.C.Escher)

LA VITA AL CONTRARIO La vita dovrebbe essere vissuta al contrario. Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo, e così tricchete tracchete il trauma è già bello che superato. Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno. Poi ti dimettono perchè stai bene, e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione, e te la godi al meglio. Col passare del tempo, le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono. Poi inizi a lavorare, e il primo giorno ti regalano un orologio d’oro. Lavori quarant’anni finchè non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa. Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti prepari per iniziare a studiare. Poi inizi la scuola, giochi coi gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità, finchè non sei bebè. Quando sei sufficientemente piccolo, ti infili in un posto che ormai dovresti conoscere molto bene. Gli ultimi 9 mesi te li passi flottando tranquillo e sereno, in un posto riscaldato con room service e tanto affetto, senza che nessuno ti rompa i coglioni. …E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo! …WOODY ALLEN

10 maggio 2009

La festa della mamma...

Un libro accompagnato da un biglietto con su scritto queste parole tratte da Il Profeta di Kahlil Gibran....questo è stato il regalo che oggi ho fatto a mia madre. Le sue parole di solito riescono a toccare in maniera del tutto speciale le corde della mia anima e spero che così sia anche per la mia mamma. Tutti i suoi scritti sono profusi di questa religiosa atmosfera di amore, antica saggezza e nudi sentimenti, riescono a catapultarti in un mondo irreale che attinge comunque dalle piccole e semplice azioni della vita quotidiana. Ci sono sempre poche occasioni per far valere le nostre più segrete emozioni nella realtà quotidiana...un giorno come questo può sicuramente aiutare ad esprimere quella purezza di un sentimento solo apparentemente intorpidito dalla vita di tutti i giorni. Tante volte vorrei dire ai miei genitori grazie per tutto quello che fanno per me e per mio fratello...tante volte vorrei ancora stare abbracciata a loro per ore come quando ero piccola. Ma spesso il tempo manca, o forse siamo noi che non riusciamo a dare un giusto valore al tempo che abbiamo. A volte sottovalutiamo l’importanza dei minuti passati con coloro che ci hanno cresciuto e che in fondo ci conoscono meglio di chiunque altro....ci dimentichiamo quanto valore abbiano le loro parole, che sono le uniche a non contenere impurità di sentimenti...e poi il tempo fugge ed è solo troppo tardi....

05 maggio 2009

Memorie nel presente

04 maggio 2009

INVICTUS...

Oggi, durante le nostre mille faticose peregrinazioni per Careggi, abbiamo parlato di ciò che nei momenti di sconforto riesce a darci la giusta carica per affrontare quelle interminabili giornate di “studio matto e disperatissimo” che ci fanno andare fuori di cervello. A me capita veramente spesso, in queste giornate primaverili, di trovarmi nella disperazione più totale...vedo un bel sole fuori e mi verrebbe voglia di uscire, di stare all’aria aperta senza pensare a niente (cosa che mi farebbe molto bene ogni tanto!), di abbandonare questa città caotica e andare a fare una bella passeggiata al mare....e poi guardo il libro di istologia e mi vengono un sacco di sensi di colpa. Probabilmente non è tanto per una qualche responsabilità ideale...forse è perché tengo al futuro che ho deciso di costruirmi più che a qualsiasi altra cosa. Ecco, quando mi trovo di fronte a tutte quelle sfide a cui mi mette di fronte la vita giorno dopo giorno penso a una poesia che, sembrerà impossibile, ma riesce a darmi un’enorme carica, mi fa sentire invincibile, qualcosa tipo supereroe...il trionfo contro le avversità.... quella quotidiana lotta che ci fa sentire vivi....scorgere l’ostacolo, correrci incontro e valicarlo...che ci possa far più o meno piacere: è proprio questa la vera essenza della nostra natura...